Fra le memorie del dopoguerra italiano esiste un ricordo condiviso: quello del "cattivo tedesco". La raffigurazione del soldato germanico barbaro e sanguinario, imbevuto di ideologia razzista e pronto a eseguire gli ordini con brutalità, ha costituito non solo un elemento unificante fra le diverse memorie delle varie forze politiche che hanno partecipato alla Resistenza, ma ha rappresentato anche l'immagine speculare rispetto a cui è stato costruito in Italia il mito più radicato e diffuso: quello del cosiddetto "bravo italiano". Un argomento costruito dalla propaganda degli alleati che distingueva fra popolo italiano e regime fascista, scaricava su quest'ultimo la responsabilità della guerra e indicava nel popolo e nel governo tedesco il nemico peggiore da combattere. Un mito identitario e una contrapposizione rilanciata poi anche dagli intellettuali italiani nell'elaborare sottili distinzioni fra nazismo e fascismo. Le profonde radici storiche del nazismo spiegano la sua maggiore brutalità e il consenso ottenuto nella società tedesca. Laddove gli anticorpi della tradizione umanistica e cattolica italiana avrebbero frenato il fascismo, annacquandone le potenzialità criminali e ostacolandone la presa sulla società italiana. Ha qui origine la tendenza tuttora diffusa a giudicare in maniera indulgente il fascismo "per differenza" rispetto al nazismo.
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