Boris Cyrulnik, neuropsichiatra francese la cui fama è dovuta, tra l'altro, all'introduzione in psicologia del termine "resilienza", racconta per la prima volta la storia della sua famiglia: i genitori vennero deportati nel 1943 nel campo di concentramento di Auschwitz, mentre lui, ancora bambino, riuscì a scampare la prigionia grazie a un nascondiglio di fortuna nel bagno di una sinagoga di Bordeaux. La morte dei genitori, la povertà estrema e la beffa di un sistema burocratico che non lo riconobbe come orfano e arrivò a privarlo del diritto allo studio hanno profondamente influenzato il percorso professionale di Cyrulnik, che non ha mai smesso di interrogarsi sul suo passato per comprendere e comprendersi. Un saggio dove il racconto drammatico si mescola alla costruzione della memoria, e l'evocazione intima di un'infanzia stravolta dalla guerra esalta la volontà di superare l'infelicità, per rispondere con forza alla chiamata della vita
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